La componente storica e paesaggistica del Piano ambientale del Cansiglio

Piano Ambientale della Foresta del Cansiglio

Storia del territorio e Archeologia del paesaggio

Coordinatore: arch. Moreno Baccichet

Collaboratori:

arch. Davide Crosetta

dott. Urbanista Laura Scapolan

geom. Alessandro Antoniolli

LE AZIONI:

Nel costruire questo documento abbiamo identificato i valori paesaggistici e storici definendo gli apparati normativi in modo attivo e non passivo. Dalle esperienze di programmazione territoriale abbiamo ripreso il tema progettuale delle “azioni” perché meglio potrebbero corrispondere alle aspettative della collettività nei confronti delle strategie di politica ambientale.

Molte azioni hanno come concetto portante il miglioramento della fruizione e conoscenza del territorio da parte dei cittadini.

Come si potrà vedere nelle schede relative alle azioni generali e particolari che accompagnano questa relazione e la corrispondente carta, il “progetto di piano” parte dall’identificazione dei luoghi dell’identità cansigliese (zone di preminente interesse archeologico – paesaggistico). Questi luoghi sono il principale strumento per coinvolgere gli utenti e gli operatori attraverso l’attribuzione di valori comuni. Le azioni e i progetti esaltano l’identità dei luoghi garantendo la costruzione di uno “statuto dei luoghi” condiviso.

La progettazione ambientale e paesaggistica ha il compito di restaurare e/o esaltare i valori ambientali, paesistici e storici presenti indirizzando gli utenti verso nuove forme di fruizione.

Recuperare l’identità del territorio permetterà di trasmettere, anche alle generazioni future, i caratteri originali dei luoghi e i diversi segni che sono stati impressi dall’uomo attraverso la storia.

I processi che identificano un luogo non si possono ricondurre solo all’aspetto fisico del territorio, ma investono anche la sfera dei rapporti tra l’uomo e l’ambiente, in particolar modo i procedimenti attraverso i quali una determinata comunità attribuisce al luogo un senso, un valore simbolico o affettivo, oltre che funzionale ed economico.

Questo problema è strettamente legato alla confusione tipologica e topologica di opere tese alla trasformazione del territorio senza considerare il problema della compatibilità delle nuove strutture o modi d’uso con l’ambiente in cui si inseriscono; un esempio significativo è la base militare.

Per risolvere questo problema non bisogna ritornare al passato, bensì conservare e recuperare il patrimonio edilizio e ambientale che è rimasto, operando tramite un’accurata analisi conoscitiva dei luoghi.

I progetto di piano intende intervenire tutelando quei siti o quegli oggetti e caratteri ambientali che presentano una spiccata identità e per i quali è facile un condiviso riconoscimento. Portando all’estremo questo concetto diventa strategico creare o ricostruire consapevolmente, attraverso la progettazione di nuovi paesaggi, un’identità dei luoghi che ne sono privi o che l’hanno perduta.

Le azioni di progetto

Premessa

Per redigere la carta delle azioni non ci siamo limitati ad analizzare soltanto il territorio di Veneto Agricoltura, ma abbiamo considerato anche tutto il confine originario del bosco del Cansiglio, che abbiamo rilevato rintracciando i cippi confinari e coinvolgendo l’area friulana con l’ambito della zona di reperimento prevista dalla L.R. 42/1996 del Friuli Venezia Giulia.

Le azioni proposte per il nostro settore del piano, quindi, si estendono anche al Friuli Venezia Giulia e innervano tutto il sistema ambientale ed ecologico dell’originaria foresta demaniale.

Una premessa importante riguarda il contenuto che il piano ambientale del Cansiglio deve avere. Secondo noi questo strumento non deve limitarsi ad organizzare la fruizione del bene ambientale e nemmeno l’esclusiva questione della zonizzazione. Le azioni previste, anche se relative a piccoli oggetti territoriali, valorizzano i paesaggi limitrofi creando un’identità più forte.

Abbiamo deciso di caratterizzare il nostro contributo al piano utilizzano delle azioni perché, secondo noi, bisogna utilizzare uno strumento di pianificazione che non sia concepito come un insieme di vincoli, ma come un disegno composto da progetti sviluppati a diverse scale. Siamo consapevoli che la tutela dell’ambiente e del territorio non può essere affidata esclusivamente alla mera imposizione di vincoli, che talvolta finiscono per sortire effetti diametralmente opposti a quelli che si intendeva perseguire, ma si fonda principalmente sulla valorizzazione, salvaguardia e incremento delle risorse presenti nel territorio del Cansiglio.

Uno degli obiettivi principali, intorno al quale ruota la maggior parte delle azioni proposte, riguarda l’integrazione delle risorse territoriali con il sistema museale del Cansiglio, in particolare l’Ecomuseo che prevede il recupero delle ex scuole di Pian Osteria.

L’Ecomuseo è la spina dorsale delle azioni, almeno di quelle più legate alla sentieristica, al recupero degli elementi archeologici e al riconoscimento degli antichi legami che vincolavano il popolamento (seppure temporaneo) allo sfruttamento delle risorse.

Abbiamo quindi previsto una serie di azioni generali (5) e una serie di azioni particolari necessarie per valorizzare l’architettura del paesaggio Cansigliese e per recuperare, o conservare, segni e oggetti territoriali che ancora ricordano i diversi modi d’uso del Cansiglio.

Alcune azioni sono relative agli insediamenti umani, altre interessano la viabilità storica, altre ancora si occupano di alcuni valori ambientali o antropologici del luogo.

Qui di seguito viene riportata una classificazione delle azioni suddivise in base alla loro tipologia, segnalando i caratteri di politica ambientale che riteniamo vadano perseguiti.

Per semplicità, nella trattazione sciogliamo gli acronimi delle azioni:

A0 = Azione generale

At = Azione Tambre

Apf = Azione Palughetto di Farra1

Af = Azione Fregona2

Ac = Azione Caneva

Ap = Azione Polcenigo

Ab = Azione Budoia

Azioni che riguardano la viabilità storica:

Af2: restauro del sentiero di Fontanaboi – Le Rotte;

Af3: recupero del sentiero dei boscaioli di Val dell’Orso e dei Carbonili;

Af5: restauro e ricostruzione della strada di Cadolten – Fontanaboi;

Af6: recupero del sentiero di Vallorchet;

Af7: restauro del sentiero di Costa d’Aver;

Af8: recupero del sentiero del Pian della Pitta – Pizzoc;

Af10: apertura del sentiero del crinale del M. Millifret;

Af11: restauro del sentiero di Campo del Grande e Col della feda;

Af12: conservazione e tutela dell’intorno del sentiero Taffarel – Prese;

Af16: il restauro paesaggistico della strada forestale del Taffarel;

Apf2: recupero dei sentieri del Pezzon;

Apf4: restauro del sentiero del confine 1895;

Apf7: restauro del Troi della Banca;

Apf9: restauro del sentiero del Runal;

At5: recupero del sentiero delle Serraie;

At6: la strada da Pian Osteria a Campone;

At10: recupero e restauro dei sentieri di Baldassarre;

At11: recupero delle strade originarie della Valmanera del Pian Cansiglio;

At13: il restauro del sentiero da Val Bona a Pian Soldà;

Ac2: recupero della Strada del Patriarca;

Ac3: recupero di un tratto della strada ottocentesca;

Ac4: recupero della Strada di Busasotta;

Ac5: recupero del Troi delle Paradise;

Ac6: il sentiero de “la foresta scritta”;

Ab1: recupero del sentiero alto dei masi friulani.

Una delle tipologie principali dell’azione di protezione e di valorizzazione degli elementi culturali e storici del Cansiglio è quella legata alla viabilità storica. Le motivazioni sono evidenti: la rete della sentieristica è una rete infrastrutturale molto antica e in alcuni casi è facile credere che questi percorsi siano in realtà ciò che rimane degli itinerari di risalita dei cacciatori del Paleolitico, testimoniati da tanti ritrovamenti in Cansiglio. Il fatto stesso che un accampamento fosse in corrispondenza del Palughetto, lungo il sentiero del Runal, è significativo. Questa era la via che collegava l’Alpago con le riserve di caccia del Cansiglio. Lentamente questa infrastrutturazione assunse nuovi significati in relazione all’aumento della popolazione e, soprattutto, allo sviluppo degli insediamenti temporanei pastorali in alta quota.

C’erano senz’altro degli itinerari precedenti a quelli medievali testimoniati dal fatto che le culture paleolitiche dei siti archeologici del Cansiglio corrispondono, per esempio, a quelli della pedemontana di Dardago. E’ ovvio che questi venivano tracciati seguendo le vie più comode per arrivare in quota ed è plausibile che in età medievale ci si sia limitati a ripercorrere tracce più antiche e ancora conservate. Infatti non ci sembra si possa credere che per lungo tempo il Cansiglio non sia stato frequentato dalle comunità del pedemonte e delle vallate.

In età neolitica si svilupparono i primi insediamenti permanenti al piede della scarpata provocando un incremento delle superfici a pascolo lungo il versante, una minor frequentazione del comparto centrale del Cansiglio e una ricchissima concentrazione dei segni dell’uomo sulla scarpata.

E’ in questo periodo che parte la prima fase di disboscamento del versante. Questa pratica agricola raggiungerà l’apice della sua applicazione nel Basso Medioevo, nel momento in cui gli insediamenti al piede, soprattutto gli insediamenti per masi sparsi, e gli insediamenti dell’Alpago, verranno ristrutturati e si trasformeranno le vecchie masserie a un sistema moderno di villaggi e/o masi sparsi. In quel momento, quindi verso il 1100, si creerà e consoliderà quella che è la maglia viaria che conosciamo anche adesso, soprattutto le vie principali di collegamento, le strade che da ogni villaggio portavano verso le risorse pastorali dell’altipiano.

Nel X° sec. il Cansiglio divenne importante per le rotte commerciali nel momento in cui il Vescovo di Belluno ebbe dall’imperatore la giurisdizione su Oderzo, antica città romana. In quell’occasione il Cansiglio assunse un’importanza nuova legata proprio al fatto di essere una sorta di cerniera tra quella che era l’originaria giurisdizione vescovile di Belluno e i territori di Opitergium che arrivavano fino al mare. Quindi divenne la cerniera dell’ambizioso progetto del Vescovo di Belluno, vassallo dell’imperatore, di collegare l’antica città romana di Belluno con il mare. Il prelato, fedele all’imperatore, voleva trasformare la sua terra in un importante nodo di collegamento tra le regioni del nord Europa e l’Oriente, già influenzato dalla ripresa del commercio marittimo.

Questa vocazione dell’altipiano è confermata anche in fase successiva, cioè nel periodo basso medioevale. Il Cansiglio tornò ad essere attraversato da una strada commerciale di importanza internazionale capace di collegare la Patria del Friuli con le terre di Belluno e il Tirolo. Si trattava di un’asse di attraversamento capace di garantire funzionalità alle strutture portuali poste sulla via d’acqua del Livenza, in modo particolare il porto di Sacile.

Nel XIII secolo, il Patriarca di Aquileia attrezzò una strada controllata dal castello patriarcale di Caneva, una strada che attraversa tutto il piano del Cansiglio salendo sul versante friulano e scendendo, per il classico sentiero del Runal, a Farra d’Alpago. Una strada libera, franca, dove i mercanti tedeschi potevano scendere liberamente, senza pagare dazi e anzi sotto la protezione del Patriarca, prima al castello di Caneva e poi al porto di Sacile per imbarcarsi verso i mercati orientali o quelli di Venezia.

In età basso medievale si era già disboscato fino ai limiti dell’attuale bosco del Cansiglio anche se non erano stati realizzati edifici e casere. La pastorizia era di tipo transumante, con il pastore che si spostava con le greggi, e anche la piana del Cansiglio era già libera di vegetazione e attraversata dagli armenti. Per questo motivo ci viene facile credere che verso il XIII secolo quasi tutte le principali strade da noi rilevate esistessero già.

Il bosco era pascolato e attraversato da pastori e animali, non era ancora il bosco dei boscaioli perché il legno non era una risorsa. Un po’ come i boschi di pianura del periodo altomedioevale la raccolta dei frutti, il pascolo e la caccia erano le risorse principali della foresta.

Alcune vie di transumanza avevano già in questo periodo più importanza di altre, in modo particolare tutti quegli elementi di sentieristica che collegavano le varie comunità di villaggio con le risorse pastorali del piano.

Nel costruire il nostro contributo al Piano Ambientale abbiamo prestato un’attenzione particolare alla salvaguardia e al restauro di questi tratturi non poche volte manomessi dagli usi contemporanei del bosco. La strada del Patriarca è stata in gran parte distrutta per realizzare la strada del Gaiardin; la strada che saliva da Cadolten è stata distrutta per creare la nuova strada asfaltata e un tratto di pista forestale; la strada di accesso dal Runal è sempre stata sfruttata con mezzi meccanici e quindi è fortemente deteriorata; la via del Vescovo di Belluno, che passava per Polcenigo, è stata in parte distrutta per realizzare la strada dorsale che collega il Cansiglio con il Piancavallo e le strade di Cornesega e Valmenera; la strada di San Antonio che collegava il Cansiglio con la comunità di Tambre è stata completamente distrutta dall’attività silvocolturale

Insomma, tutta una serie di strade importanti hanno subito delle grandi manomissioni. Il nostro progetto di azioni prevede il recupero della viabilità storica principale e quindi, in alcuni casi, anche la ricostruzione di questi assi che sono ormai scomparsi, soprattutto il sentiero del Runal e il sentiero di Cadolten – Fontanaboi. In altri casi, invece, abbiamo voluto valorizzare i percorsi minori che per fortuna, per condizioni geografiche, vincoli di protezione e altro, si sono conservati nel modo migliore: per esempio i pochi brani della strada ottocentesca del Cansiglio, oppure il recupero di alcuni sentieri di versante per l’esbosco come il Troi della Banca, o quello della “foresta scritta”.

Uno dei motivi della valorizzazione e del recupero di questi tracciati è quello di evitare che questi segni vengano manomessi e distrutti dalle attività boschive, per il fatto stesso che non vengono riconosciuti come un patrimonio storico-testimoniale di grande valore.

Alcuni di questi manufatti, per contro, a causa della scarsa utilizzazione, vengono inghiottiti da un sottobosco estremamente intricato e non controllato da parte dell’uomo. In altri casi ancora, tracciati molto importanti, come la Strada alto-medioevale del Vescovo di Belluno, sono stati completamente cancellati dalla costruzione di una viabilità minore a destinazione silvopastorale.

Per la strada del Taffarel si segnala invece la necessità di un recupero paesaggistico di manufatti costruiti solo poche decine di anni fa. La loro costruzione ha comportato la creazione di modelli di penetrazione nel bosco che sono nuovi e moderni, ma che nel loro aspetto formale stridono con il resto del contesto paesaggistico. La strada del Taffarel si presenta come una classica strada da esbosco e il manufatto stradale e le prospettive che si possono cogliere percorrendo la strada hanno un valore paesaggistico decisamente basso. Progettare meglio la strada del Taffarel vuol dire andare a rimodulare la composizione delle strutture boschive sui lati della strada in considerazione di quelli che sono i punti di vista e le prospettive che si desidera che il visitatore percepisca. In altri casi, come per esempio il sentiero di costa d’Aver o il sentiero di Cadolten–Fontananboi, la scomparsa completa del tracciato ci pone di fronte a due problematiche: una è quella di tracciare nuovamente il sentiero nella stessa posizione originaria. Questo non sempre è possibile perché il manufatto moderno si è sovrapposto all’esistente, quindi si renderà necessario progettare un sentiero parallelo al vecchio asse viario.

Un’altra questione importante per la valorizzazione della viabilità storica è quella del recupero dei sentieri che attraversano le parti di foresta a protezione integrale, per esempio la riserva biogenetica del Millifert. Per molto tempo queste zone sono state vietate all’uso produttivo e/o turistico e hanno molto spesso conservato i segni dei percorsi storici. Con alcune azioni abbiamo proposto di consentire il transito dei visitatori pur limitando la fruizione turistica esclusivamente al percorso storico ed evitando inutili disturbi alle ampie aree protette.

Azioni che riguardano l’ambiente costruito (archeologia del paesaggio):

Af4: conservazione dei prati di Pizzoc e Cadolten;

Af13: il recupero di campo di Pian Grande;

Apf1: riconoscimento dei limiti dell’impianto sperimentale dei larici ora trasformato in pecceta (archeologia forestale);

Apf11: schermatura delle aziende agricole del piano;

Apf13: recupero della sorgente della Val Fardina;

At14: acquisto del complesso boschivo e pascolivo della Palantina;

Ac7: costruzione delle chiarie di Busa dei Morivi, di Busasotta e di Busa Gallina;

Ac8: la conservazione dei pascoli di Cercenedo e Sponda Alta;

Ab3: il recupero dei pascoli cansigliesi di Budoia

Per quanto riguarda le azioni che interessano l’ambiente costruito è nostra intenzione fare in modo che non svaniscano i segni prodotti dalla transumanza, segni ancora estremamente importanti all’interno della foresta. Si tratta di prati artificiali che per secoli hanno tagliato le strutture boscate e che erano utili nel trasferimento delle mandrie come spazi di sosta. Qualche volta questi slarghi posti ai margini del sentiero accoglievano delle “lame” (stagni) che garantivano la permanenza delle greggi anche per più giorni durante la transumanza.

In altri casi abbiamo previsto delle azioni che tendono a recuperare alcune ampie praterie che hanno forme e tradizioni d’uso diverse. Per esempio, i prati di Pizzoc e Cadolten, dopo la definizione di quella che fu la questione del “mezzomiglio”, grande diatriba giuridico forestale dell’800, divennero patrimonio esclusivo dei comuni. Nel momento in cui l’amministrazione di Osigo ne ebbe la disponibilità procedette a una grandiosa opera di frazionamento e vendita dei pascoli. Grazie a questa privatizzazione la scarpata trevisana si trasformò in un paesaggio di prati segnati da recinti in pietra e da piccole stalle private.

Quelle terre da bene collettivo divennero un bene privato creando una nuova forma territoriale estremamente recente, ma singolare. Per rendersi conto di quale sarebbe stato altrimenti il paesaggio di queste periferie pastorali è sufficiente osservare le più antiche morfologie dei pascoli friulani o di quelli alpagoti. Per esempio, il mezzomiglio di Farra d’Alpago continuò a essere gestito dai vicini come un bene collettivo. A Cadolten e sul Pizzoc, invece, si creò una struttura di paesaggio completamente diversa ed originale, segnata da tutta una serie di appoderamenti fisicamente denunciati da muretti a secco e residenze temporanee di tipo privato.

Questo paesaggio originale, anche se moderno, è un paesaggio in grande trasformazione a causa dell’abbandono degli ultimi anni. Non solo i pascoli e prati privati non godono di buona salute, ma anche molti dei pascoli pubblici friulani stanno rapidamente degradando.

Per questo motivo abbiamo proposto delle azioni che mirano a correggere le forme involutive del paesaggio creando un progetto economico capace di produrre ripercussioni virtuose. In modo particolare si propone di recuperare le ampie aree prative abbandonate e sotto utilizzate esterne alla piana, ampliando il progetto di valorizzazione del prodotto caseario cansigliese. Questi pascoli collaterali al momento sotto utilizzati o addirittura abbandonati, ma potrebbero entrare all’interno di un progetto complessivo di ristrutturazione delle risorse del Cansiglio e quindi permettere un aumento della produzione lattiero-casearia del formaggio biologico del Cansiglio. Per fare questo ci vogliono azioni concrete, progetti che prevedano non già ciò che c’è adesso, cioè un sistema di produzione caseario lasciato all’improvvisazione dei singoli che affittano le malghe dei comuni di Caneva e di Polcenigo, o dei privati che possiedono le proprietà Cadolten e Pizzoc; bensì una visione complessiva, un impegno e un coordinamento da parte dell’ente pubblico che riesca ad unire queste diverse risorse, all’interno di un progetto complessivo e unitario.

In questa sede proponiamo un’azione che è un progetto che verrà necessariamente a valle di un’approfondita analisi, ma alcuni paletti di questo percorso posso essere individuati già in questa sede.

I territori di Cadolten, e in parte quelli del M. Pizzoc, si stanno inselvatichendo perché i privati non hanno più alcun interesse a utilizzare quelle risorse. Sopravvivono alcuni riutilizzi discutibili e impattanti delle strutture edilizie sopravvissute: alcune proprietà vengono utilizzate dai cacciatori come punto di appoggio, oppure sono diventate delle seconde case, mentre sono rari gli esempi di conservazione dell’originaria attività pastorale. Si può ben dire che queste forme di regresso dei generi di vita stanno portando alla scomparsa di un modello paesaggistico che, in fin dei conti, ha retto per meno di 150 anni ed è entrato in crisi subito dopo la costruzione.

Lo studio dovrebbe valutare i modi per tornare indietro sulle scelte fatte allora, ricostituendo l’originario demanio e prevedendo forme d’uso e di affitto garantite dall’ente o da un consorzio.

Infatti, anche i comuni da soli non sono in grado di ripensare all’utilizzo dei loro pascoli. Ad esempio il comune di Budoia ha la volontà di recuperare parte dell’originario settore pastorale ma il comparto è così piccolo e poco agevole da non permettere un progetto economicamente vantaggioso. In modo diverso gli ambiti pastorali collegabili al Cansiglio, e attualmente in crisi, possono ritrovare un loro peso e significato all’interno di una nuova politica delle risorse foraggere del Cansiglio.

Altri “reperti ambientali” si trovano lungo la sentieristica storica, ad esempio il Campo di Pian Grande, Busa dei Morivi, Busasotta e Busa Gallina. Il recupero di questi spazi aperti, e che abbiamo documentato attraverso il Catasto Austriaco, serve a tutelare piccoli ambienti, a volte attrezzati con lame, funzionali agli animali durante la transumanza. Si trattava di pascoli che, nonostante fossero poco frequentati, aumentavano i caratteri ecologici del Cansiglio creando dei microambienti molto piccoli e quindi decisamente diversi rispetto a quella che è la parteria Cansigliese. Qui trovavano ospitalità alcuni animali e specie particolari, quindi è nostra intenzione prevedere il recupero e il ripristino di questi spazi aperti racchiusi all’interno della selva.

Un’altra cosa molto importante, che riguarda il sistema dell’archeologia forestale, è la presenza del sedime del motore alpino costruito da Galvani sul Monte Cavallot e quel che rimane del sito del lariceto ottocentesco. Questi, e altri reperti, testimoniano alcune vicende particolari della storia forestale del Cansiglio, dal XVI secolo luogo di esperimenti forestali.

Il lariceto testimoniato dalla cartografia storica è oggi una pecceta, ma fino all’Ottocento era un pascolo. Quel luogo è quindi molto importante per testimoniare l’evoluzione delle forme del paesaggio cansigliese. In modo particolare, silvocolturale agli inizi dell’Ottocento, fu oggetto di una sperimentazione per capire se c’era la possibilità di coltivare il larice sui versanti più riparati e meno esposti. L’esperimento si rivelò un fallimento perché il larice prodotto non era adatto alle lavorazioni e quindi il suolo fu riconvertito a peccata.

Il recupero di alcuni elementi archeologici come i manufatti di difesa delle sorgenti, le fontane, gli impianti sperimentali di larice, ecc. sono legati al tema dell’archeologia delle risorse, del bosco e dell’acqua e hanno un grande valore testimoniale.

La problematica delle lame è un po’ trasversale a diversi studi all’interno di questo strumento di pianificazione.

L’uso delle lame e delle torbiere da parte degli attuali allevatori ha spesso innescato delle polemiche tra operatori e ambientalisti. I primi tentano di migliorare i requisiti dell’acqua disinfettando gli stagni con prodotti chimici, i secondi, per contro, denunciano la crisi di speciali componenti animali e vegetali messe in pericolo dallo sfruttamento della risorsa idrica a fini produttivi.

Le lame sono anche oggetti di grande interesse paesaggistico costruiti dall’uomo. Per questo motivo riteniamo che la soluzione di questo conflitto debba essere un obiettivo prioritario del piano. Lame e torbiere tradizionali dovranno essere conservate valorizzando anche la loro qualità ecosistemica e i valori estetici del bene, mentre per l’attività pastorale si potranno prevedere nuovi manufatti artificiali impermeabili e trattati per garantire uno standard minimo di qualità delle acque. Le lame artificiali potrebbero essere poste vicino alle lame naturali, verrebbero realizzate con degli sbancamenti, dei movimenti di terra e con un’impermeabilizzazione, che potrebbe essere in bentonite, o addirittura con dei teli plastici, duratura nel tempo, in modo da non sottoporre l’allevatore a onerosi lavori di impermeabilizzazione e manutenzione.

Azioni che riguardano gli insediamenti e i manufatti storici:

Af1: recupero degli insediamenti cimbri di Vallorch e le Rotte;

Af9: recupero del Bivacco di Pian della Pitta e dei suoi prati;

Af15: recupero del sedime della Casera nuova delle Prese e le stalle di Mezzomiglio;

Apf5: i pascoli scomparsi di Val Piccola e il recupero archeologico delle rovine;

Apf10: demolizione dei ruderi di Col Formiga;

Apf14: demolizione e parziale recupero volumetrico della base militare;

At1: recupero dell’insediamento di Valbella;

At2: recupero dell’insediamento di Prandarole;

At7: recupero filologico di Casera Costa Alta;

At8: recupero del sedime delle casere abbandonate della Val Manera (Casera Mocenigo, Bassa, Brusada e Cornesegna);

At9: recupero del sentiero del Landro con la ricostruzione del piano;

At12: recupero del piano di Val Bona e del Sedime del Cason di Chinol;

Ab4: restauro e ricostruzione delle strutture lignee di Casera Friz con funzione di Bivacco.

Un’altra questione e quella degli insediamenti. Attualmente molti degli abitati minori soprattutto Vallorch e le Rotte, che sembrano abbastanza tradizionali, ma molto di più Campone, Canaie e Pian Osteria, risentono del fatto che, non essendoci una normativa per gli ampliamenti o la realizzazione dei manufatti, quello che era il sistema tradizionale dell’architettura in legno è stato distrutto o manomesso. Quindi si rende necessario procedere identificando una serie di azioni che servono a conservare le poche testimonianze di tradizioni edilizie e costruttive molto diverse tra di loro. Ad esempio, quella friulana caratterizzata da muri a secco con l’aspetto di cumuli da spietramento coperti poi con spioventi in legno e paglia, oppure gli spazi delle casere settecentesche di Valmenera, o quelle sparse più piccole del Mezzomiglio di Tambre. Per gli insediamenti permanenti si dovranno poi proporre delle forme coerenti con la tradizione e con quelle che sono le aspettative turistiche ambientali del Cansiglio.

E’ importante riuscire a far conoscere e riconoscere alle persone che frequentano da un punto di vista turistico il Cansiglio le diverse tradizioni architettoniche, ad esempio la differenza tra il recentissimo Bivacco di Pian della Pitta sul territorio di Fregona e la altrettanto recente Casera Friz a Budoia, per far capire quale è la differenza fra le due tipologie edilizie; la tradizione della scarpata Cansigliese con i tetti in paglia e le zone alpagote invece con tetti in lastre di pietra. Questa azione rivestirebbe un’importanza peculiare, che può essere compresa sia in ambito museale, ma anche direttamente nei sentieri, grazie ad alcune tabellature esplicative.

Azioni che riguardano l’aspetto antropologico:

Af14: restauro del forno di calce delle Prese;

Apf3: valorizzazione del “luogo della stua” e della forra del torrente Perosa;

Apf8: conservazione del luogo della croce;

Apf12: la salvaguardia delle lame naturali attraverso la costruzione di strutture artificiali;

At3: le cave di Prandarola;

At4: forno di calce in Pian Cansiglio;

Ac1: salvaguardia del cippo della “croce” alla Crosetta;

Ab2: recupero dell’area carbonile di Fontana Agher.

Azioni che riguardano gli insediamenti e i manufatti storici

Il Cansiglio apparentemente è un luogo poco costruito, in realtà la nostra ricerca ha cercato di evidenziare come la foresta sia una grande costruzione dell’uomo. L’uomo ha modellato con la sua attività questi luoghi e anche il sistema dei pascoli non è per nulla naturale.

Ci sono all’interno del Cansiglio diverse tradizioni costruttive: quella più recente legata agli insediamenti in legno dei cimbri, le tradizionali costruzioni alla tedesca (blockbau), quella friulana caratterizzata da manufatti a secco con murature larghe anche due metri dovute allo spietramento. Qui, soprattutto all’interno della piana, si rintracciano casere, edificate tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, estremamente elaborate e desunte dalla manualistica tipica del periodo razionalista. Quelle di Valmenera sono invece dell’inizio del ‘700 e hanno caratteri assolutamente particolari che non le fanno assomigliare a edifici analoghi rintracciabili in Val Cellina o nell’Alpago.

Considerazioni simili possono essere fatte anche per gli elementi più minuti dell’architettura del paesaggio cansigliese. La conservazione di questi oggetti e le strutture volte a farli riconoscere e comprendere diventeranno parte di un museo diffuso che sarà legato all’eco-museo del Cansiglio.

Questi elementi sono segni che testimoniano le attività tradizionali e i generi di vita del Cansiglio. Valorizzando questi reperti archeologici potremo spiegare come veniva realizzata la produzione della calce in una situazione così difficile come quella della zona cansigliese, il tema del trasporto del legname, l’attività delle cave, le tecniche di produzione del carbone. Potremo così cogliere lo spirito dei luoghi spiegando agli utenti della foresta come si svolgevano questi lavori. Per esempio, l’azione del recupero del sentiero dei boscaioli deve mostrare come era fatto un bivacco dei boscaioli, non ricostruendo quello esistente che rimane come memoria archeologica, ma costruendo nei pressi un edificio simile e un “poiat”.

Reperti e ricostruzioni diventeranno luoghi di memoria e luoghi museali.

A Prandarole due cave sono state scavate con strumenti tradizionali, altre invece sono state scavate con strumenti moderni. Le prime erano state attivate nell’Ottocento dalla popolazione che abitava lì vicino (Pian del Lovo) e che integrava il proprio reddito con questa attività artigianale, mentre l’altra era collegata al piano con una strada moderna e carrabile.

Anche i due forni da calce rintracciati durante la nostra ricerca sono particolari e come tali andrebbero valorizzati. Questa attività era diffusa in tutta la montagna pordenonese e cadorina dove c’era la presenza dell’acqua che serviva per spegnere la calce. In Cansiglio, per contro, l’acqua era ed è un bene prezioso e poteva essere raccolta solo utilizzando dei bacini artificiali. Per poter costruire murature con calce e intonaco era necessario avere delle scorte idriche destinate allo spegnimento della calce. Non a caso i forni furono costruiti nelle zone dove c’era una maggiore presenza di lame, mentre non ne sono stati rintracciati nel settore friulano dove le murature originarie degli edifici erano a secco.

Altri manufatti di grande valore come il Masonil Vecio, Casera Friz, la piramide trigonometrica del Col dei Scios, Casera di Costa Alta e i sedimi di Costa Bassa di Brusada, di Cornesega di Mocenigo, vanno recuperati come elementi di archeologia del paesaggio legandoli all’eco-museo.

Alcuni di questi oggetti territoriali hanno un valore particolare. Casera di Costa Alta e il Masonil Vecio sono due strutture ancora ben conservate e, restaurate, potrebbero diventare due sedi staccate del museo di Pian Osteria. Due installazioni demo-antropologiche che salverebbero i manufatti dal mal governo e abbandono attuale e le trasformerebbe in luoghi museali dove ricostruire gli ambienti e le situazioni nei quali viveva il malghese durante la sua attività temporanea in Cansiglio.

Un altro importante luogo della memoria legata ai lavori in Cansiglio è quello della stua di Val Perosa.

Le stue erano dei manufatti estremamente comuni negli ambienti forestali dell’età moderna. In Cadore e in Friuli non si poteva svolgere un’attività di esbosco senza la realizzazione della stua (una diga artificiale) che regolasse la fluitazione del legname. Per contro, in Cansiglio le stue non si erano mai potute costruire perché non c’erano corsi d’acqua che permettessero di trasportare il materiale a valle.

Il fatto che sul finire del ‘700 qualcuno abbia previsto la costruzione di uno di questi strumenti, in un momento particolare della storia forestale del Cansiglio, è importante per ricordare quello che è stato un fallimento, un’incomprensione geografica.

Un ulteriore testimone delle attività del passato è il sedime del “casello” di Palughetto. Nel Cansiglio, in età veneziana, si potevano trovare solo due fabbricati realizzati in muratura: uno era il palazzo di San Marco al centro del Cansiglio, la residenza del Provveditore sopra i boschi o capitano dei boschi, e l’altro era il casello lungo il sentiero del Runal.

Qui si controllava il flusso del legname a valle e veniva svolta l’attività di osteria a vantaggio dei 550-600 boscaioli che lavoravano in Cansiglio.

1 Nei catasti storici, Palughetto di Farra era comune autonomo, mentre oggi è parte del comune di Farra d’Alpago.

2 Nei catasti storici il territorio che attualmente fa capo a Fregona corrispondeva al comune autonomo di Osigo.