La carta del paesaggio e l’archeologia di Quarto d’Altino. Progetto Interreg Italia-Slovenia (PArSJAD. Metaprogetto del Parco Archeologico dell’Alto Adriatico)

 

 

 

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

 

Laboratorio di archeologia del paesaggio a Quarto d’Altino

Domenico Patassini
Indagini puntuali e reperti raccontano di una città-madre, fiorita quando la laguna era poco più della metà della superficie attuale, all’incrocio di due vie: la Annia, che da Ravenna ad Aquileia e quindi alla Dalmazia disegnava una litoranea destinata ad arretrare con la subsidenza e la via Claudia Augusta, il tratto più breve dall’alto Adriatico al Danubio. Di certo, in questo incrocio, Ermes esortava i viandanti a vivere il presente.
Nel 2009, complice una stagione particolarmente secca, telerilevamento e riprese aeree multispettrali restituiscono un’immagine straordinaria dell’impianto urbanistico romano di Altinum, formatosi fra la seconda metà del III secolo a.C. e il IV secolo d.C. L’immagine nitida dell’impianto, a pochi centimetri dall’attuale livello di campagna, è favorita dalla mancanza di successive stratificazioni dovute all’abbandono del sito a favore di Torcello e delle isole della laguna nord. Altinum è lì e non si vede, ma la sua scoperta cambia per sempre le regole del gioco: aumenta la consapevolezza della comunità locale, diventa possibile l’integrazione del sito archeologico in un inedito disegno paesaggistico, agro-naturalistico e di connessione lagunare, trova spunto vitale la resistenza a progetti di nuove città e infrastrutture che rischiano di spazzare via la storia, un pezzo di storia della stessa Venezia.
Il Progetto Parsjad (Metaprogetto di parco archeologico nell’alto adriatico) riconosce Altino come luogo di sperimentazione in cui confluiscono diverse attese. Si inizia così a rileggere il territorio, si ricostruisce una geografia dei valori e, soprattutto, si avvia un dinamico processo di riappropriazione civica. A questo processo contribuisce il laboratorio di archeologia del paesaggio che delinea scenari e strategie con una serie di mosse convinte:
rendere noto l’ignoto o ciò che è appena intuito (conoscenza),
rendere visibile l’invisibile, e vedere oltre quel che c’è (visibilità),
dare un nome a ciò che ne è privo (linguaggio, comunicazione, toponimica)
rendere vivo l’inanimato (vita e fruizione),
integrare ciò che è o sembra isolato (integrazione),
rendere accessibile l’inaccessibile (accessibilità),
apprezzare l’immateriale (valore),
diluire il vincolo nella risorsa (innovazione e creatività),
affrontare il rischio archeologico con la prevenzione e la connessione (sicurezza e rete).

 

Una Charrette per progettare il paesaggio a Quarto d’Altino
Moreno Baccichet
La charrette organizzata a Quarto d’Altino ha avuto lo scopo di coinvolgere la popolazione a monte del processo di pianificazione comunale fornendo la possibilità al laboratorio di integrare i saperi tecnici dei professionisti con i saperi locali della popolazione residente, mai sufficientemente attrezzata per partecipare al ‘disegno’ delle trasformazioni territoriali.
Il laboratorio di urbanistica partecipata è stato quindi proposto come uno strumento per costruire un processo condiviso di riconoscimento dei valori territoriali di Quarto d’Altino sviluppando in modo particolare il tema del paesaggio agrario e delle memorie storiche. Il paesaggio di Quarto d’Altino è un ambiente produttivo e frequentato, solcato da infrastrutture e acque, un territorio in cui gli elementi “fossili” convivono con la produzione e la residenzialità.
Cogliere e aiutare a leggere la dimensione storica del paesaggio altinate ha il senso di introdurre negli strumenti di pianificazione locale un nuovo significato nel rapporto di costruzione del piano con gli abitanti. I residenti non saranno contattati ex-post dopo che una bozza dello strumento sia stata approntata dai professionisti incaricati, ma prima e mentre viene elaborato lo strumento stesso. Questo processo laboratoriale ha permesso di tarare, in anticipo rispetto allo strumento urbanistico di Quarto d’Altino, l’attenzione da prestare nella declinazione delle problematiche archeologiche.
L’iniziativa ha avuto un significato di concreta sperimentazione e si è articolata in diverse pianificate occasioni di incontro tra tecnici incaricati dalle amministrazioni regionale e comunale, docenti dell’Università IUAV e popolazione. Il laboratorio è stato strutturato in un calendario che ha previsto incontri laboratoriali e uscite sul territorio per l’indagine di campo e l’esplorazione. In tali occasioni si è posta particolare attenzione al tema del disegno e della individuazione di obiettivi facilmente raggiungibili e controllabili e a fare in modo che il processo stesso fosse una occasione per creare comunità. Nonostante tutto il progetto ha sofferto di una difficile comunicazione all’interno del tessuto sociale stesso sebbene gli incontri e le escursioni si siano svolti in quattro diversi luoghi del territorio comunale. Va però considerato il fatto che è più difficile creare aggregazione su un progetto da formulare attraverso dibattiti e confronti che sul rifiuto di una trasformazione decisa in un ambiente estraneo alla comunità.
Fin dal primo momento si sono voluti individuare modi liberi per modificare il territorio con modalità anche inusuali. Per questo motivo si è scelto di intervenire utilizzando il metodo della charrette, cioè un modello laboratoriale dove applicare in modo collaborativo e ‘antidisciplinare’ gli stessi cittadini.
Il metodo si mostra particolarmente utile in tutti quei casi in cui si pretende di affrontare un progetto multi-disciplinare con tempi stretti di risposta al problema fornendo una elaborazione anche non particolarmente dettagliata e non professionale, ma capace di tradurre in forma un “progetto” che metta insieme sia la scala del dettaglio architettonico che quella territoriale. La charrette si propone di produrre proposte realizzabili utilizzando un linguaggio facilmente comprensibile a tutti (=disegno). Il laboratorio permette ai cittadini di lavorare direttamente nel luogo del progetto operando in modo libero e privo di gerarchie.
Nel caso specifico della ricerca del Parsjad abbiamo indagato l’applicazione di questo metodo alle carte del paesaggio francesi che sono uno strumento al quale il laboratorio si è consapevolmente ispirato.
Anche a Quarto d’Altino l’interesse era quello di formulare un documento il più possibile condiviso dagli abitanti e dall’amministrazione comunale, che da subito aveva promosso l’esperimento supportandolo e seguendolo con interesse.
Il documento avrebbe avuto la forma di un patto tra cittadini coinvolti nel processo e amministrazione locale, che si poteva impegnare a ridisegnare nel piano strutturale, che si stava iniziando ad elaborare, quelle proposte che avevano una scala territoriale.
Tra gli argomenti che s’intendevano portare alla discussione del variegato gruppo di lavoro c’era senza dubbio il ruolo territoriale dell’archeologia della città scomparsa, ma anche la definizione di azioni e buone pratiche al tema dell’abitare, della riconquista, attraverso la possibilità di percorrerlo, del territorio aperto, e dell’archeologia del paesaggio, intesa nel senso più ampio, rifacendoci in modo esplicito anche alle memorie dei partecipanti alla charrette che avevano conosciuto i paesaggi della bonifica pochi anni prima della crisi di quel modello.
La charrette è un intenso processo di confronto e di coprogettazione che vuole portare alla definizione di alcune proposte a un problema entro un breve periodo di tempo. Nel laboratorio si è lavorato sia in modo assembleare che per gruppi mai superiori alle 12 unità rielaborando di volta in volta i contenuti delle che venivano presentate.

Il gruppo operativo incaricato di condurre il laboratorio e stato relativamente piccolo e ha svolto il preliminare lavoro di progettazione dell’azione partecipativa per gestire la fase logistica dell’evento e la fase della Post-Charrette con la preparazione di un documento finale che descriva i risultati ottenuti.
Di fatto si è realizzata l’iniziativa con un coordinatore (Moreno Baccichet) e con alcuni collaboratori che si sono alternati (Walter Coletto, Antonio Talone, Enrico Tommarchi, Elisa Padovan, Giulia Saccardo, Eugenio Belgrado) durante le diverse fasi laboratoriali. Questo gruppo di lavoro ha preparato anche il materiale necessario per la pre-Charrette individuando, anche con l’aiuto dei rappresentanti dell’amministrazione, alcuni cittadini che dovevano essere assolutamente coinvolti. Al coordinatore è spettato poi l’onere di organizzare la campagna di comunicazione e la scaletta delle giornate, nonostante la stessa abbia subito degli aggiustamenti mano a mano che il processo si concretizzava.
Durante le prime fasi del laboratorio il gruppo di lavoro ha illustrato le questioni primarie e secondarie determinando la portata del progetto e le sue componenti geografiche. Soprattutto durante la seconda e la terza giornata di laboratorio la presenza dei cittadini è stata costante e rinnovata continuamente. Molte persone si sono affacciate alla sala anche solo per curiosità e si è molto lavorato per modellare la presenza all’interno del laboratorio valorizzando le persone che si avvicinavano e che avevano apparentemente una vasta gamma di competenze ed esperienze. Nel processo della charrette l’assemblea accoglie chiunque si avvicini al workshop sia che sia locale, sia che si tratti di un forestiero. Infatti è positivo contrapporre la conoscenza dei luoghi e dei processi esprimibile dalla comunità locale a quella di chi osserva, per vari motivi, quei luoghi che non abita.
In questo senso crediamo che il laboratorio sia stato una occasione utile per creare un dialogo.
Del resto la chiave per rendere la charrette parte integrante di uno sforzo della comunità è un pubblico informato. Questo obiettivo si può ottenere rendendo visibile il laboratorio scegliendo spazi di lavoro che prospettino spazi pubblici, pubblicando su internet o su spazi pubblici i progressivi risultati delle discussioni, costruendo un efficace progetto di comunicazione. L’efficacia della charrette molto spesso è determinata dalla capacità di informare la comunità locale capillarmente e in modo semplice degli obiettivi del workshop.
Per la partecipazione è stata posta una grande attenzione in fase preliminare per la costituzione di un grande patrimonio di informazioni e cartografie da utilizzare durante le fasi di dibattito. Questo bagaglio di materiali è stato di volta in volta tarato sul tipo di argomento affrontato dalla charrette.
In questo processo l’uso del disegno è molto importante e quindi abbiamo predisposto per il workshop un’ampia disponibilità di carte “mute” sulle quali i partecipanti hanno potuto scrivere e schizzare le proprie idee. Questo rende evidente il fatto che alla fine della Charrette erano state prodotte una grande quantità di immagini e disegni per illustrare i problemi e le idee che derivano dal processo.

La charrette altinate
Fin dall’inizio si è pensato di utilizzare una charrette “dilatata”che occupasse un giorno alla settimana permettendo a chi voleva di partecipare anche a tutti gli incontri. Alla fine di ogni giornata gli schizzi e le idee raccolte sarebbero state formalizzate in una carta dalla quale sarebbero ripartite le discussioni nella seduta seguente del laboratorio.
La carta progettuale ha avuto il senso di territorializzare le proposte e di permettere un continuo lavoro multi scalare nella definizione dei progetti. In questo modo sia durante la prima fase del laboratorio che durante la seconda si è ottenuto il vantaggio di costruire progetti funzionali ma complementari gli uni con gli altri. Proposte che durante la loro definizione non si limitavano a sollevare i problemi, ma cercavano di essere tradotte di progetti, anche di dettaglio.
La necessità di territorializzare le conoscenze, i problemi e le proposte è stata risolta durante il secondo e terzo incontro con due diverse attività laboratoriali. Il primo giorno i partecipanti sono stati invitati a individuare quelli che erano i luoghi di valore del loro territorio definendone i limiti nella fruizione da parte della comunità locale. Questo lavoro è stato portato a termine usufruendo di una ampia collezione di cartografie del territorio guidando la lettura di carte diverse (carte storiche, tecniche, ortofoto, geomorfologiche, piani urbanistici, ecc). Nel pomeriggio si è chiesto ai partecipanti di costruire con due diversi percorsi due racconti territoriali capaci di esprimere, attraverso la pratica del camminare, un approccio ai luoghi coinvolgente. In questa fase si è fatta molta attenzione a capire quel’era, nei partecipanti, il senso dell’archeologia dell’altinate. Come venivano percepiti i fossili di società e complessi economici scomparsi e il ruolo che assumevano le moderne vestigia di una società contadina del secolo scorso, ormai annientata dai nuovi processi economici?
La definizione di questi percorsi, che il laboratorio avrebbe poi calcato, doveva tener conto di toccare quanti più luoghi di valore era possibile, ma anche di esplorare luoghi che dopo la lettura incrociata delle cartografie avevano assunto un nuovo significato per gli stessi abitanti.
Il progetto dei percorsi non doveva tener conto delle difficoltà fisiche e geografiche che si sarebbero potute contrapporre alla libera fruizione dei luoghi (regime delle proprietà, esistenza o meno di percorsi pubblici, capacità di vedere le cose individuate nelle cartografie tematiche) ecc.
Il risultato di questa elaborazione è stata la definizione di due diversi itinerari che dall’entroterra permettessero di raggiungere la laguna e le prospettive verso Torcello e le città abbandonate di Ammiana e Costanziaco.
La terza giornata del laboratorio è stata centrata sulla costruzione di una “mappa di comunità” che permettesse di individuare alcuni modi di intendere il territorio da parte dei partecipanti. L’obiettivo finale era quello di disegnare la carta dopo un progressivo lavoro di conoscenza e rappresentazione. Per fare questo è stato invitato al laboratorio un disegnatore (Eugenio Belgrado) che dotato di una lavagna luminosa schizzava in tempo reale le impressioni, i dubbi che emergevano dall’assemblea.
Questi schizzi sono serviti in parte per giungere alla definizione delle adeguate rappresentazioni dei luoghi. Rappresentazioni che non volevano essere realistiche ma che dovevano definire il senso di luoghi ed edifici sparsi sul territorio.
Il tempo dedicato a questa operazione è stato sufficiente perché erano stati considerati anche i tempi per l’evolversi di una libera e creativa improvvisazione, dimostrando una flessibilità utile per raccogliere spunti e idee.
La quarta e la quinta giornata di laboratorio sono state dedicate a due escursioni a piedi con la popolazione per percorrere le vie di esplorazione tracciate a tavolino cogliendo la complessità delle trasformazioni del paesaggio e interpellando di volta in volta la cartografia storica portata al seguito. Queste azioni esplorative ci hanno permesso di cogliere gli aspetti del paesaggio più importanti per la progettazione territoriale, visitando i luoghi e incontrando le persone che si sono potute intervistare. L’occasione è stata anche la migliore per iniziare a concretizzare l’idea del “racconto territoriale” esprimendo i modi di una nuova pratica d’uso del territorio che pone l’esperienza personale e di gruppo al centro del processo di conoscenza.
La prima escursione si è mossa lungo la direttrice, Quarto d’Altino, Altino, laguna e Montiron. La secondo lungo la direttrice Portegrandi, Trezze, laguna, i Marzi e rientro a Portegrandi. In entrambi i casi ci si è scontrati contro le difficoltà di percorso create da proprietà private e sbarramenti che hanno portato a modificare leggermente l’itinerario elaborato a tavolino.
Le due ultime giornate del laboratorio sono state dedicate principalmente all’elaborazione del progetto. L’intento è stato quello di costruire il documento di pianificazione del paesaggio e dell’archeologia in forma di un fascicolo in formato A3. Durante le riunioni si sono alternate occasioni di discussione a momenti di scrittura del rapporto e di elaborazione delle relative cartografie che lo avrebbero espresso. Durante questo momento di confronto con la comunità locale si è aggiustato il tiro sui progetti indicati dalle precedenti discussioni individuando lo schema generale e i singoli approfondimenti, costruendo le basi cartografiche e le immagini di scenario. Il laboratorio alla fine di ogni giornata garantiva delle proposte che venivano esposte e discusse da tutti i partecipanti e poi scritte nei tre tavoli di progettazione che erano stati allestiti.
Il documento finale conterrà i risultati di tutte le fasi del laboratorio a partire dall’indagine cartografica iniziale che espliciterà l’argomento nel paragrafo della “diagnostica”. In questa parte del documento si cercherà di ricostruire il quadro paesaggistico e archeologico dell’area delineando il patrimonio territoriale a disposizione e le diverse fasi della sua trasformazione.
Nella seconda parte del rapporto abbiamo voluto leggere il territorio altinate con una descrizione sincronica dei diversi problemi riscontrati, tra i quali hanno assunto un peso determinante nel dibattito il tema della mobilità, sia quando questa viene coniugata per l’impatto che rischia di portare alla zona, sia quando si esprime attraverso la richiesta di permeabilità del territorio agricolo. Le cose si complicano ulteriormente se si tiene conto del particolare reticolo acque che fa dal Sile, fiume di risorgiva, alla laguna aperta vincolata al regime delle maree.
Durante questa fase si è prestata una grande attenzione a trovare gli strumenti per potenziare il rapporto che intercorre tra la comunità e la conoscenza del territorio con il fine esplicito di costruire una cittadinanza. Per questo è stata posta una grande attenzione nella individuazione degli attori che avrebbero potuto promuovere le trasformazioni progettate. Tra i diversi obiettivi individuati credo vadano ricordati almeno quelli che hanno un ruolo più forte: la necessità di riprogettare con i grandi proprietari agricoli le ampie tenute, la necessità di promuovere un turismo locale che valorizzi il potenziale archeologico dell’altinate, la possibilità di territorializzare la comunità locale, l’attenzione ai temi che impongono nuovi rapporti tra le più recenti espansioni urbane e le zone agricole.

Prodotti finali
Il processo partecipativo è stato considerato utile anche come attività della Valutazione Ambientale Strategica della formazione del Piano di Assetto Territoriale del Comune di Quarto d’Altino e alcune delle previsioni progettuali proposte oggi trovano spazio nello strumento della pianificazione strutturale del comune. Per il resto il laboratorio ha prodotto una carta delle politiche e dei progetti e quattordici schede progettuali che indicano azioni specifiche da portare a termine nel tentativo di recuperare alla cittadinanza la dimensione spaziale dell’archeologia.

 

Materiali scaricabili:

Carta delle azioni e delle politiche

fascicolo Biennale2rid

Le azioni montate insieme

Altino charrette