UTI Tagliamento – Progetto di Paesaggio PPR Fvg

La Regione Friuli Venezia Giulia ha pubblicato un Bando per la concessione e l’erogazione dei contributi agli enti locali in conto capitale per la redazione di progetti attuativi della parte strategica del Piano Paesaggistico Regionale.
La parte strategica del piano tende a consolidare l’importanza territoriale di tre sistemi di valori paesaggistici intesi come reti: quella dei beni culturali, quella della mobilità lenta e quella dell’ecologia.
Il territorio della destra del Tagliamento è ricco di valori paesaggistici ascrivibili a queste tre reti e da alcuni decenni è oggetto di esperienze di progettazione che si sono concretizzate in esperienze che hanno avuto anche un rilievo nazionale. Soprattutto la figura del principale architetto del paesaggio del ‘900, Paolo De Rocco, ha tracciato una importante strada coniugando la scala territoriale del paesaggio a esperienze che già negli anni ‘80 del secolo scorso mettevano in relazione queste tre reti. Non va
dimenticata l’importanza dell’esperienza per nulla puntuale del progetto del cimitero degli ebrei e del Boscat, ma soprattutto merita ricordare l’eperienza pioniera della riscoperta dei luoghi di ispirazione letteraria.
In entrambe le stagioni progettuali i temi dell’ecologia e quelli del paesaggio storico e culturale venivano declinati dall’architetto con una innovativa idea di “rete”. Il progetto dei luoghi letterari di Nievo e Pasolini elaborato da De Rocco all’inizio degli anni ‘90 non si limitava a valorizzare i luoghi descritti dalla lettura, e quindi reintepretati e trasfigurati dall’arte, ma affrontava anche il tema della salvaguardia e riprogettazione di ambienti naturali o antropologici che conservavano la memoria del territorio. Questi luoghi erano innervati da una rete di viabilità minore che collegava i nodi del racconto territoriale con i “fili” di una viabilità antica e campestre che a volte, come nel caso della chiesa di San Pietro, assumeva il carattere di una rete di viabilità minore.
Questa modalità di progettazione è sostanzialmente la stessa che viene proposta dal Piano Paesaggistico Regionale e per questo motivo si è pensato di riprendere il mano quell’ambizioso progetto pensato dall’architetto defunto e rimasto in gran parte incompiuto.

La rete dei beni culturali viene espressa dal PPR in termini fisici e territoriali: castelli, centri storici, ville venete, le chiesette campestri, ecc. Il progetto che proponiamo alla regione tiene in considerazione anche il paesaggio sensibile e immateriale dell’invenzione culturale. Non solo quello della letteratura già affrontato da De Rocco, ma anche quello della pittura che lungo il Tagliamento soprattutto nell’esperienza dei pittori rinascimentali (Pordenone, Amalteo, ecc) e di quelli moderni (De Rocco,
Tramontin, ecc).
Per questo motivo abbiamo pensato di riprendere e completare quello storico progetto integrando queste infrastrutture culturali con quelle ecologiche e della mobilità. Si tratta di un progetto che ha una storia lunga che ha un particolare valore identitario per le popolazioni della sponda destra del Tagliamento. Il centro culturale e di studi dedicato a Pasolini e i molti progetti realizzati del parco letterario di Nievo sono, insieme ai progetti di paesaggio di De Rocco, riconosciuti come un elemento di valore da parte di tutta la popolazione.
Nievo, Pasolini, Pordenone, Amalteo e persino Federico De Rocco rappresentano valori identitari per la popolazione locale che ormai riconosce anche nel continuo processo di cambiamento del paesaggio in queste forme di reinterpretazione artistica dei capisaldi del proprio sentire ambientale.

Diventa indispensabile costruire un disegno di territorio che in qualche modo integri il disegno normativo del piano dando significato ai diversi oggetti territoriali. La seguente carta alla scala 1:25000 mostra come la restituzione dei valori del territorio sia estremamente difficile nel piano. Le linee dei vincoli fluviali e la segnalazione di alcuni dei principali beni culturali non riescono a rendere valore a centri storici di primaria importanza come Valvasone e Cordovado.

Il progetto alla scala del piano paesaggistico e territoriale permetterà di tenere insieme narrazioni diverse dell’ambiente e questo farà si che venga espresso un paesaggio plurimo, centrato sulla diversa capacità dell’occhio di cogliere il tempo costruendo “monumenti” e rovine utili allo spirito. Il progetto deve esaltare le diversità del territorio ponendo attenzione ai segni lasciati dalle passate generazioni di abitanti. Tutto questo è determinante per costruire un progetto di sviluppo condiviso che dimostri che un processo lento e progressivo, ma soprattutto condiviso, ha la possibilità di portare con se la tradizione. Per questo la necessità di confrontarsi in modo moderno con i temi dell’ecologia del paesaggio e con quelli dell’armatura culturale territoriale rende necessario costruire un nuovo progetto di comunità. Un progetto partecipato e nuovo che sia capace di raccordare i fili con le esperienze di un quarto di secolo fa.
Da allora molto è cambiato nel paesaggio. La crisi dei maidicoltura, la inaspettata espansione delle superfici boscate, le pioniere esperienze di agricoltura integrata e biologica lasciano ben sperare.

Per questo riteniamo determinante costruire un progetto alla scala dell’Unione Territoriale che innervi i territori proponendo progetti di trasformazione sostenibile e infrastrutture culturali per il turismo e non solo.
E’ sotto gli occhi di tutti il fatto che la dimensione degli abitati si sta dilatando non più per l’espansione edilizia ma per i nuovi stili di vita che impongono nuovi costumi e abitudini. La mobilità morbida non è utile solo per i turisti forestieri, ma anche per la popolazione locale che attraverso pratiche d’uso territoriale come i gruppi di cammino, i runners, i camminatori solitari, i ciclisti, ecc stanno instaurando un nuovo rapporto con la dimensione spaziale dell’abitare.
Per questo motivo intervenire nuovamente con una serie di microprogetti di agopuntura territoriale ha il senso di ricostruire significati allo spazio delle comunità locali. Vuol dire ricostruire fili narrativi di un paesaggio per nulla statico ma misurabile nella sua dinamicità attraverso i nodi della narrazione.
La narrazione della destra territoriale farà perno sul sistema infrastrutturale antico. Quello delle strade che si muovevano tra le zone umide interpretando i suoli più solidi e che poi raggiungevano i paesaggi aridi del grande fiume pensile. Strade, ville, castelli, borghi fortificati sono ancora oggi l’impalcato culturale di questo territorio, ma non dobbiamo dimenticarci di valorizzare questo parallelo registro delle narrazioni letterarie e pittoriche nelle quali stanno gli elementi fondativi del paesaggio contemporaneo e futuro. Il progetto di territorio dovrà esaltare le strutture ecologiche, ma declinandole con la storia e la tradizione degli ambienti naturali di antico regime ormai quasi completamente scomparsi. La mobilità lenta non deve essere solo un modo alternativo di percorrere il territorio ma uno strumento per leggerlo. I beni culturali non saranno solo oggetti fuori dal tempo, ma misuratori delle stagioni che passano declinando le diverse figurazioni che seguono le diverse economie territoriali.
Non devono essere isole nei territori banalizzati ma nuclei nervosi capaci di trasmettere benessere e cura agli ambienti contermini; nodi indispensabili di una cura di agopuntura territoriale. Per quanto riguarda il sistema ambientale il progetto prevede di rendere nuovamente identitatrio il grande fiume che nel passato era stato considerato un elemento di disturbo e un luogo di dismemoria.
Negli anni ‘60 l’opera di infrastrutturazione della terza linea di difesa dei battaglioni di arresto aveva di fatto militarizzato il fiume. Qui si svolgevano le manovre, ma anche le pratiche quotidiane di gestione dei bunker di difesa.
Le servitù militari hanno lentamente segnato come uno spazio segreto quello che era un luogo frequentatissimo nella storia. La presenza di pochi ponti ha di fatto ristretto le pratiche di avvicinamento all’argine se non da parte dei cavatori di ghiaia. Recentemente il dibattito sulla regimazione del grande fiume in relazione alle piene ha fatto si che le popolazioni rivierasche si siano di nuovo affacciate a questo ambiente singolare. Se un tempo l’asta del fiume era per lo più percorsa trasversalmente grazie ai guadi, poco alla volta la percezione del territorio della destra Tagliamento si è concentrata sui temi dei flussi paralleli al fiume e convergenti sui pochi ponti: Dignano, Casarsa, Madrisio.

La struttura delle cittadine borghesi posete agli incroci delle diretrtrici da nord a sud e da est a ovest è ancora perfettamente chiara, ma le funzioni degli assi viabilistici sono del tutto cambiate. Oggi la trasversalità è garantita dalle grandi arterie statali e dalla Ferrovia Udine Venezia. Poco si è fatto per riconosce e riopristinare i percorsi che permettevano di attraversare ambienti naturali del tutto diversi come l’alveo pensile e arido del Tagliamento, i terreni misti e ben drenati della prima fascia insediata
dai villaggi, gli ambienti di risorgiva delle zone basse.
Un ambiente che nel tempo ha subito profonde trasformazioni al punto che quello che era l’antico asse stradale della Postumia è stato lentamente interrato dalle acque stagnanti e dai depositi scuri.
Il passaggio dalle bianche ghiaie del Tagliamento alle terre nere delle Melmose o di Torrate è uno dei racconti ambinetali da riscoprire nella aprte bassa dell’UTI in contrapposizione alle antiche vie di transito che nei settori alti (vedi i guadi di Cosa e Valvasone) portavano verso altre enormi distese di ghiaie bianche del Meduna.
Gli ambienti naturali aridi lungo il tagliamento scendono quasi a contatto con la zona delle risorgive disegnando un paesaggio di forti contrasti. Il progetto non può non osservare queste specialità proponendo uan riscoperta di un territorio vasto e complesso dotato di un “carattere” che impressionò poeti come Pasolini e fotografi Come Elio Ciol.

Nella zona di Cosa e Provesano, come mostra bene l’immagine, prevaleva un paesaggio di praterie aride oggi oggetto di una profonda trasformazione verso un ambiente fortemente influenzato da una agricoltura industrializzata. Il paesaggio agrario non è più quello descritto nelle pubblicazioni di agricoltura prodotte nella seconda metà dell’800 dai Pecile insediati a San Giorgio della Richinvelda. E nemmeno quell’ambiente di policolture aride che le foto di Ciol hanno immortalato alla metà degli anni ‘60.

Le terre aride e prative furono una importante fonte di reddito per le famiglie dell’alta pianura fino a che le forme di gestione comunitaria della terra non furono messe in discussione a partire dalla seconda metà del ‘700. Poco alla volta le grandi praterie magredili assunsero un valore negativo nella retorica della stampa dell’epoca. Contrariamente al periodo medievale il magredo divenne un simbolo di inefficienza e di disagio economico: “Dalla Richinvelda fino ai piedi dei colli di Sequals si estendono,
per centinaia di chilometri quadrati, vaste praterie di natura magrissima, le quali danno di regola un miserabile prodotto in fieno. Qui le campagne, anche relativamente fertili, per la gran parte non producono medica, e danno poco prodotto di trifoglio; la scarsezza quindi e la poco buona qualità dei foraggi si oppongono direttamente ad un rapido miglioramento agricolo in questa regione.”
Le parole di Domenico Pecile aprivano le porte alla grande trasformazione paesaggistica e territoriale che con l’irrigazione artificiale avrebbe trasformato l’alta pianura pordenonese trasfigurando i vecchi pascoli in aziende agricole moderne.

L’intenzione allora era quella di trasformare le aziende agricole verso una maggiore efficienza nella produzione della carne e per fare questo bisognava promuovere un uso diverso del territorio. Gli animali dovevano rimanere in stalla mentre le grandi campagne sarebbero state privatizzate e coltivate per produrre più foraggio.

Parallelamente un’attenta selezione dei bovini poteva portare dei benefici alle aziende e alle comunità. Il paesaggio di allora stava lentamente cambiando cancellando le praterie e rendendo più complesso il disegno dei campi attraverso un disegno policolturale era segnato anche dalla rotazione agraria che oggi non possiamo più vedere. Uno dei pochi prati stabili conservati si è mantenuto presso la chiesetta campestre di San Nicolò che un tempo segnava il confine meridionale di quella grande prateria che saliva fin quasi a Sequals. Qui alcuni signori friulani legati al partito tedesco attraccarono la carovana che accompagnava i signore del Friuli, il francese Bertrando di St. Geniès nel 1350. Ferito a morte il Patriarca di Aquileia morì qui e questo prato divenne un luogo della memoria popolare. Per questo motivo una sorta di tabù di matrice storica fece si che il prato limitrofo alla chiesa non fosse mai stato coltivato. Oggi questo è uno dei pochi brandelli dell’originario e medievale mantello prativo che copriva gran parte dell’alta pianura. E’ in pratica un testimone di un paesaggio ormai scomparso e conserva un valore ambientale e paesaggistico straordinari.

La chiesetta campestre divenne un luogo di pellegrinaggio e di fede e fu ampliata con un nuovo presbiterio che accoglie importanti affreschi e uno straordinario altare lapideo del Pilacorte realizzato nel 1497 in stile rinascimentale. Questi ambienti aridi erano tipici anche della zona di San Martino al Tagliamento e di Arzene. Valvasone pure posto nei paesaggi delle ghiaie era collocato su una delle principali direttrici che attraversavano il Tagliamento al di sopra dei terreni umidi. Il guado di Valvasone e quello di Murlis erano legati da una strada che riusciva a mantenersi al di sopra delle risorgive intercettando solo pochi filoni d’acqua. Il queste zone le montagne e la pianura si fondevano come nei dipinti cinquecenteschi grazie alle possibili prospettive lunghe delle praterie.

Al di sotto della linea delle risorgive, a partire da Casarsa l’ambiente cambiava completamente e via via che ci si allontanava dal Tagliamento le acque che si muovevano in subalveo sotto al fiume pensile emergendo costruivano un ambiente complesso e sempre più reticolare. Un ambiente riconquistato all’agricoltura poco alla volta in età medievale demolendo le strutture boschive che si erano sviluppate al posto della centuriazione. Se la Postumia in gran parte si è salvata perché i romani l’avevano
disegnata parallelamente al sistema dei corsi d’acqua, la centuriazione scomparve per azione del torrenti, ma anche per l’irregolare disegno delle diverse azioni di colonizzazione agricola.
Per questo nella parte di Savorgnano, Bagnarola, Sesto al Reghena il disegno insediativo non è più chiaro, ma sembra sottoposto al capriccio.
Questo carattere di diversità è evidente dal fatto che il territorio dell’UTI Tagliamento è diviso in due diversi ambiti paesaggistici, quello dell’alta e quello della bassa pianura. E’ quindi evidente il fatto che per ogni rete le possibilità progettuali dovranno confrontarsi con due racconti territoriali in realtà raccordati da un unico ambiente fluviale, quello del Tagliamento.
La rete ecologia attorno al Tagliamento nel Piano Paesaggistico Regionale e in rosso le direttrici della mobilità slow a scala regionale (in rosso continuo) e alla scala locale (tratteggiate).
Ma se nei settori antropizzati il disegno è a grana fine, lungo la grande asta fluviale l’ambiente è segnato in modo determinante dalle dinamiche e dalla figurazione paesaggistica del grande fiume.
Apparentemente a un ambiente paesaggisticamente complesso se ne affianca uno semplificato, ma assolutamente unico nel suo genere.
Il Tagliamento è un fiume unico in Italia e in Europa ma oggi è soggetto a problematiche ambientali molto gravi (escavazioni in alveo, casse di espansione, ecc) che minacciano profonde trasformazioni.
Il grande fiume pensile sembra caratterizzare un paesaggio che non muta mai nel continuo lavorio del trasporto solido delle acque e nella successione delle forme che acque e ghiaie assumono a ogni pioggia. Un paesaggio apparentemente stabile che a partire dall’800 è stato profondamente “governato” dall’uomo attraverso una serie di opere che hanno, mano a mano, ridotto gli spazi pertinenziali del fiume. La costruzione degli argini ha impedito il tradizionale vagare delle acque in piena sulle praterie
magre circostanti e progressivamente gli ambiti dei pascoli rimasti all’esterno degli argini sono stati privatizzati e colonizzati per ottenerne terre produttive, irrigate artificialmente. Le coltivazioni sono entrate persino all’interno degli argini e la costruzione di molte infrastrutture all’interno dell’alveo (ponti, reti tecnologiche, strade di servizio all’escavazione) stanno mano a mano inquinando il grande fiume con una serie di opere di difesa che ne irrigidiscono la naturalità.

Rete dei Beni Culturali
Le indicazioni relative al tema dell’approccio ai beni culturali della pianura alta e bassa sembrano alquanto approssimate a censimenti obsoleti e lacunosi. Per la parte alta non vengono considerati luoghi spirituali, degni di un contesto paesaggistico, la chiesa di Provesano sulla riva del Cosa e affrescata da Gianfrancesco da Tomezzo, la chiesa di Cosa sul bordo del terrazzo fluviale, la chiesetta di San Osvaldo a San Martino. Nella zona bassa manca completamente la chiesa di Santo Stefano a Gleris, quella di Versutta, la chiesetta campestre della Madonna di Prodolone, la chiesa di San Paolo, la Madonna di Campagna a Ramuscello, ecc.
Sulla rete delle testimonianze di età medievale si rintraccia la cortina di Santa Croce che non è del resto visibile anche perché probabilmente era in legno, mentre invece non viene ricordato il castello di San Vito che non viene nemmeno considerato come centro storico di primaria importanza.
In modo non diverso la rete dei mulini della bassa sembra scomparire mentre l’alternanza con i paesaggi delle risaie di Braida Curti e Sesto al Reghena non viene nemmeno rilevata.

Rete ecologica
Nei settori alti del territorio la rete ecologica è fortemente discontinua nonostante la pianura sia poco insediata. I riordini fondiari delle terre magre hanno previsto esclusivamente superfici coltivate e compromesso la presenza di praterie stabili, tanto che i prati aridi si concentrano per lo più nei settori interni degli alvei e in aree non servite dall’irrigazione. In questi ambienti la costruzione di una rete ecologica deve essere particolarmente attenta a centrare l’obiettivo del movimento delle specie vegetali
più che di quelle animali per ridurre i conflitti con le coltivazioni di pregio che si svolgono in queste aree. Senza dubbio i corridoi fluviali assolvono al tema della conservazione di un patrimoni floristico e animale complesso caratterizzato dalla sempre più evidente presenza di ungulati. Per questo motivo nei settori dell’alta pianura le azioni di valorizzazione del progetto si riscontrano per lo più lungo l’argine fluviale. L’argine crea una differenza paesaggistica tra gli ambienti naturali e quelli antropici segnando una politica di evidente decostruzione negli spazi di pertinenza fluviale. Nella zona delle risorgive invece, la maglia fine degli habitat fa sì che il progetto debba fare i conti con la necessità di disegnare piccoli corridoi ecologici legati a tracciati di percorrenza storica che permettano di rendere migliore un ecotono discontinuo ma potenzialmente importante come quello delle risorgive.
La proposta del progetto si inquadra in un disegno che considera fondamentali i corridoi fluviali e modifica di poco il disegno della REL previsto dal PPR in modo da rendere più facile la relizzazione dei corridoi.

Rete della mobilità lenta
I cammini vengono disegnati soprattutto lungo le principali strade attuali che per lo più sono state disegnate durante il periodo austriaco. Invece un tempo i percorsi erano molto diversi e la riscoperta di alcuni di questi tragitti è stata anche alla base del progetto di Paolo de Rocco.
Nel disegno del PPR l’argine del Tagliamento viene valorizzato come una importante direttrice solo in alcuni tratti mentre invece potrebbe diventare un progetto comune a tutte le comunità rivierasche. Questa importante infrastruttura negli ultimi anni è stata utilizzata da biker, cavalieri, escursionisti e dagli stessi camminatori dei cammini che preferiscono percorrere le direttrici storiche lungo percorsi sicuri. In questo senso il recupero delle percorrenze storiche delle vie dei guadi permette di ancorare i percorsi della mobilità lenta ai due diversi elementi caratteriali, quello di chi attraversava il territorio e chi invece lo percorreva giornalmente. Si tratta di pratiche ancora in uso anche se con diverse finalità rispetto a quelle di un tempo.

AZIONI
Il progetto di valorizzazione paesaggistica e territoriale si avvale anche di risorse proprie dell’UTI e si
articola in diverse azioni progettuali che andremo a descrivere:

1 Opere di rinforzo dei valori ecologici all’interno dell’alveo del Tagliamento e le Porte

2 Opere di collegamento del sistema dei siti ecologici nella zona del Boscat e cimitero degli ebrei

3 Riconoscimento del paleoalveo del Tagliamento tra Carbona e Mussons

4 Valorizzazione del progetto dei parchi letterari pasoliniani e nieviani e realizzazione di alcuni
microprogetti

5 Ricomposizione paesaggistica delle praterie di Bertrando

6 Progetto di valorizzazione degli itinerari letterari paesaggistici e storici della UTI Tagliamento

7 Il recupero della Postumia Romana

8 Progetto di valorizzazione del percorso dell’argine del Tagliamento come confine paesaggistico

9 I percorsi dei guadi

10 Completamento della pista ciclabile da Sesto al Reghena al guado di San Paolo di Morsano

Il progetto presenta evidenti segni di coerenza con il PPR-FVG e lo sviluppo delle reti strategiche del piano privilegiando i temi della mobilità, ma soprattutto arrivando a una definizione dei percorsi collegata alla storia dei luoghi più che alla superficiale lettura delle direttrici dei cammini che troppo spesso si sviluppano lungo reti viabilistiche moderne e di scarso valore paesaggistico come la strada Provinciale n.1 a San Martino-Valvasone. Il progetto pone poi attenzione ai luoghi di ispirazione letteraria che nel PPR non sono stati inseriti nel Livello 3 della rete dei beni culturali, ponendo con forza, attenzione a questa categoria che pure le schede di ambito hanno ben descritto per le diverse aree del Friuli Venezia Giulia. I progetti necessitano anche dell’acquisizione di alcune aree, ma configurandosi come “corridoi” i costi stimati sono relativamente moderni anche perché il progetto si snoda soprattutto su aree di demanio pubblico.
Nel progetto è rimasta esclusa la previsione del recupero a viabilità ciclopedonale della linea ferroviaria Casarsa Pinzano al Tagliamento solo perché a differenza dei diffusi sedimi di carrareccie campestri, il sedime ferroviario non è pubblico, come nemmeno quello della linea abbandonata San Vito-Motta di Livenza.